l ministro della cultura Gennaro Sangiuliano ha decretato la fine della breve (e purtroppo negativa) esperienza di ITsART, voluta dal suo predecessore Dario Franceschini.
Durante il primo lockdown, il settore teatro e spettacolo (e in generale quello della cultura) ha subito una forte crisi. Il ministro Franceschini ebbe l'idea di creare una piattaforma digitale pubblica (a pagamento) dedicata all’offerta culturale del nostro paese, ossia ItsArt, da lui spesso definita come la Netflix della cultura italiana. Ma il progetto si è rivelato un flop.
La piattaforma, con una perdita nel primo anno di circa 7,5 milioni di euro, non verrà più rifinanziata e sarà definitivamente chiusa a maggio 2023, come annunciato dall'attuale ministro della cultura.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
L’idea ambiziosa si è dimostrata fin da subito alquanto precaria, come dimostra già l’avvicendarsi di ben tre amministratori delegati in un anno. E probabilmente non c'era una forte consapevolezza delle abitudini e dei movimenti del pubblico in rete e in tv, di cosa cerca e di quali contenuti fosse disposto a pagare. Infatti né l'offerta in live streaming gratuito, né quella on demand hanno trovato l'auspicato riscontro da parte di una platea di utenti rimasta poco rilevante. Se non per il numero, sicuramente per il risultato finanziario.
Fatto sta che la piattaforma streaming ITsART, fortemente voluta e promossa all'epoca del primo lockdown, avendo accumulato nel primo anno di esistenza un deficit piuttosto importante, non è mai veramente decollata e l'attuale ministro del MIC Gennaro Sangiuliano ha decretato di fatto la chiusura dell'esperienza, tagliando i finanziamenti.
La fondazione e i risultati
Due erano i soci maggioritari che nel 2020 fondarono ITsART (contrazione di “Italy is Art”) sotto gli auspici del MIBAC: la Cassa Depositi e Prestiti al 51%, e la CHILI S.p.a. fondata da Giorgio Tacchia - partner industriale, attivo nel settore distribuzione via internet di film e serie TV - al 49%.
Partita a maggio 2021 con già 700 titoli a disposizione, poi aumentati nel tempo, nel corso del primo anno la nuova piattaforma ha registrato una perdita di ben 7,5 milioni di euro, dimezzando così di fatto la propria liquidità. Nel bilancio di gestione hanno pesato i costi di produzione pari a 7,7 milioni di euro: 5 milioni per i servizi, 1 milione per i beni e 900 mila per il personale. Degno di nota anche l’avvicendarsi di ben tre amministratori delegati in un anno (ultimo designato Andrea Castellari).
Ma veniamo alle basi, che sinteticamente si possono individuare nelle entrate e nelle uscite: nei primi mesi di attività ItsArt ha incassato solamente 245.000 euro, pur contando su 141.000 utenti registrati. Un discreto target market, che però si è dimostrato poco incline a pagare per i contenuti proposti, molti dei quali oltretutto già presenti gratuitamente su Rai Play.
Quanto è costata?
La società ha sottolineato che tale perdita “appaia compatibile con la fase di start-up che ha caratterizzato il primo anno di esercizio”. Parole che però si scontrano con un risultato pessimo, costato alle casse pubbliche oltre 16 milioni di euro.
Infatti ItsArt è costata allo Stato circa 16,5 milioni di euro: 6,5 milioni di euro versati da Cdp (Cassa Depositi e Prestiti), altri 10 milioni dal ministero dei Beni culturali grazie al decreto Rilancio, più altri 6 milioni investiti dalla piattaforma Chili.
Secondo questi numeri, la piattaforma ItsArt si è rivelata un disastro, con la ulteriore difficoltà di capire chi avrebbe dovuto finanziare lo sviluppo e i contenuti, e di comprendere la solidità della basi della strategia di sviluppo e mantenimento della piattaforma.
Perchè non ha funzionato?
Se da una parte appare logico che una start up nel primo periodo di vita non guadagni (e magari possa andare anche in perdita), in questo caso la mancanza (notevolissima) dello sviluppo del fatturato sconcerta, e fa pensare a un errato modello progettuale.
Per mantenere il mercato attuale dell'on demand è necessario creare continuamente contenuti, meglio ancora se di qualità (e i costi sono sempre molto elevati) ed effettuare successivamente una campagna promozionale adeguata, per farsi ben conoscere sul mercato streaming e on demand. Ammesso e non concesso che queste prime due fasi siano state valutate con attenzione, arriva una terza, ancora più importante: la concorrenza.
E qui non si è tenuto in considerazione un elemento fondamentale, ossia che si voleva proporre contenuti utilizzando mezzi come il web e la tv, dove i veri competitor sono Netflix, Amazon Prime, Now tv, Rai Play e Sky, piattaforme che ormai le persone considerano 'di famiglia' per la classica serata sul divano. E per intenderci e avere un'idea delle proporzioni degli investimenti, soltanto Netflix nel 2021 ha investito in contenuti ben 19 miliardi di dollari. A questo si aggiungo anche i prezzi fuori mercato (talvolta per accedere a contenuti già visibili gratis su altre piattaforme, per esempio RaiPlay).
Spiace comunque che un progetto come questo, nato per “celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo” - come è scritto sul sito - ora venga definitivamente liquidato. Messa appunto in liquidazione lo scorso 29 dicembre da Cassa Depositi e Prestiti, si avvia a essere cancellata dal registro delle imprese nel prossimo futuro.
Il 12 maggio 2023 la piattaforma - ancora parzialmente attiva - verrà definitivamente oscurata. E pensare che ITsART aveva visto l'immediata adesione della RAI e di vari soggetti del settore culturale, sia pubblici che privati, che vi avevano inserito ogni sorta di proposte: opere, concerti, prosa, documentari, servizi culturali e turistici.
Quanto al teatro, come ripetiamo spesso, in tutte le sue forme funziona se è dal vivo, mentre quando il mezzo di fruizione cambia, cambia anche il prodotto. Diventa un'altra cosa. E va trattato, come un'altra cosa.